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Tra stelle, desideri… e incantesimi di un mago

Stampa artistica realizzata da MakeArtShine, dal Web

Negli anni ho raccolto un buon numero di poesie sulle stelle. Da Dante a Shakespeare, da Leopardi a Rilke, da Pascoli a Ungaretti, non c’è poeta che non si sia ispirato in qualche modo alle stelle.
Stasera però rileggo alcune poesie in cui parole e versi si combinano attraverso mezzi tecnici adeguati al pensiero di bambini e ragazzi. Sono le parole di poeti che, come avrebbe detto Rodari, si sanno esprimere con un orecchio acerbo.

Notte scura, interrotta qua e là dalla luce di una stella. Esco nel giardino di casa e…

FILASTELLA, di Silvia Roncaglia, da Principerse e filastrane
Filastella,
come brilla!
Luce gialla
lei distilla
nella notte
nera e lilla.

È passato del tempo da quando mi sdraiavo nell’erba e fissavo il cielo. Perché non farlo anche stasera?

Cosmo, Janna Carioli, da Io cambierò il mondo
Chissà se lassù da qualche parte
qualcuno come me, ma diverso
sdraiato sul prato, ascolta il fiato
potente e calmo dell’universo.
Sono qui, con le mani nell’erba,
lo sguardo nel cielo stellato,
sono parte di questo respiro
e felice di essere nato.

Poco distante da me, il mio gatto siede immobile col muso all’insù: fissa anche lui le stelle. Che cosa sta pensando?

STELLE, Alessandro Riccioni, da Cielo bambino
Stanotte il cielo
è pieno di buchi,
sono le tarme
oppure i bruchi?
Stanotte il cielo
mi sembra graffiato,
è stato il gatto,
che si è arrabbiato?
Eppure i buchi
sulla sua pelle,
se non li cuci,
diventano luci.
Eppure i graffi

sulla sua pelle,
se li rammendi,
diventano stelle.

Cerco una stella che sia mia. E il gatto? Cerca una stella che sia sua.

STELLA MIA, Clemente Rebora
Leggiadro vien nell’onda della sera
un solitario palpito di stella.
A poco a poco una nube leggera
le chiude sorridendo la pupilla;
e mentre passa con veli e con piume,
nel grande azzurro tremule faville
nascono a sciami, nascono a ghirlande,
son nate in cento, son nate in mille:
ma più io non ti vedo, stella mia.

Ed ecco una, due… due poesie sulle stelle cadenti…

STELLE CADENTI, Giuseppina Mortola, da La bancarella. Poesie per ragazzi
D’estate la volta celeste
è tutta un pulsare di luci,
vicine e lontane.
Non paiono lucciole d’oro
su campi di grano?
Son astri, son fiori di fuoco
sbocciati nei prati del cielo:
non hanno né foglie né stelo.
Ma quanto son belli quei lumi
sospesi nell’aria!
Guardate! Qualcuno si stacca
percorre lo spazio, scompare.
Chissà dov’è andato! Chissà!

Un altro lo segue, si spegne,
svanisce nel nulla.
Le chiamano stelle cadenti;
ma dove cadranno? Nei mari?
O vanno a celarsi nei fiumi?
Chissà dove vanno a finire
quei piccoli lumi.

ALZA LA TESTA, Alessandro Riccioni, da Cielo bambino
Alza la testa nel buio nero,
sopra la terra c’è un gran mistero.
Spalanca gli occhi, apri la vista,
il cielo buio diventa una pista:
sfrecciano i bolidi senza motore,
lasciano solo un fioco bagliore,
strappano il cielo in mezzo alle stelle,
fuggono rapide come gazzelle,
corrono a vanvera, cadono a mille,

spruzzano oro luce e scintille,
le puoi vedere, ma non le senti:
sono le magiche stelle cadenti.

… che mi fanno tornare in mente una filastrocca!

NINNA NANNA STELLE CADENTI, Bruno Tognolini, da Rima rimani
Lune lucenti, code comete
Stelle cadenti, dove cadete
Cadono a stormi, cadono a frotte
Sono cadute ma non si son rotte
Sono cadute sopra le foglie
Mamma le vede ma non le raccoglie
Dormi bambino, dormi bambina
Le raccogliamo domani mattina.

Ma dove cadono le stelle? Le si può anche sentire, mentre solcano il cielo?

LE STELLE, Edith Irene Södergran
Quando viene la notte,
io sto sulla scala e ascolto,
le stelle sciamano in giardino
ed io sto nel buio.
Senti, una stella è caduta risuonando!
Non andare a piedi nudi sull’erba,
il mio giardino è pieno di schegge.

Se una stella cade, non fa rumore (Sabrina Giarratana, da Poesie nell’erba)
e nemmeno troppa luce intorno
se una stella cade, nessuno muore
e nemmeno sarà diverso il giorno
ma se una stella cade non è strano
che qualcuno ne senta il richiamo
forse un cane, pronto a correrle incontro
forse un angelo, seduto su un ramo
forse il tuo sguardo, già notturno e lento
un desiderio si accenderà dentro.

Qual è il mio desiderio alla vista di una stella cadente? Qual è il desiderio del gatto?
Si sa – è tradizione – che, a dirlo, il desiderio non s’avvera. Per cui taccio: il mio desiderio me lo tengo ben raggomitolato e segreto sulla punta della lingua e delle dita.
Ciò che dico è invece la bellezza di una parola, che è stellare, per la sua etimologia (“desiderio” deriva infatti da un de privativo*, che indica “mancanza”, e da sidera, che significa per l’appunto “stelle”), e pure stellata (sì, proprio nel senso attribuito all’aggettivo “stellato”, quando è usato in una guida turistica o gastronomica!).

* il prefisso de ha anche il valore di “origine, provenienza”, per cui un altro significato del termine è “proveniente dalle stelle”.

Che “desiderio” sia una parola stellata, da “segnalare”, insomma, lo si comprende anche leggendo la riflessione che Daniele Aristarco scrive in relazione all’incantesimo del mago Atlante, uno dei personaggi dell’Orlando furioso.
La riporto di seguito.

Se scriviamo “desiderio” in corsivo, sforzandoci di tenere una bella grafia, otterremo una parola dalla forma piacevole simile a un panorama collinare, piccole curve graziose sulle quali dolcemente lasciarsi scivolare. La parola “desiderio” è il saliscendi lungo il quale si consuma l’esistenza. È quel moto che genera lo slancio, produce brevi accelerazioni, ostinate salite, concede brevi soste di parziale soddisfazione per poi di nuovo scivolare e risalire alla ricerca dell’oggetto desiderato.
[…] Non appena cominciamo a percepire il desiderio, siamo pronti a metterci in viaggio, a partire per quella che, nel caso dell’ “Orlando furioso”, chiamiamo “aventure” oppure “quête” o, ancora, “inchiesta”, siamo cioè pronti a lanciarci alla ricerca circolare e infinita di un oggetto o dell’amore di una persona. Desideriamo e agiamo sorretti dalla speranza di appagamento o da un’ossessione febbrile per un oggetto, ma ci sentiamo vivi. Quando, invece, smettiamo di sperare, quando l’oggetto ci sembra irraggiungibile, ecco che ci sentiamo stanchi, vuoti e diventiamo cattivi. La furia è il frutto marcio che cade dall’albero inaridito del desiderio. Atlante moltiplica gli inganni, dissemina di specchi e ombre il labirinto mobile nel quale ospita i cavalieri, senza rinchiuderli. Non ne ha bisogno perché, da gran conoscitore degli esseri umani qual è, sa che ciò che li muove è il desiderio irrazionale, l’ossessione di possedere qualcosa o qualcuno. E sa che il modo più potente per tenerli in scacco, il nodo più facile da stringere per tenerli al palo, non è concedere l’oggetto desiderato, o generare il miraggio di una soddisfazione possibile, perché dopo un po’ ne sarebbero sazi e, annoiati, si allontanerebbero alla ricerca di nuovi stimoli. Atlante sa che bisogna tenere desto il desiderio e frustrarlo, mostrando nuovi oggetti e poi privandoli di valore a vantaggio di altri. È necessario nutrire quella ossessione malsana che rende gli altri invisibili e chi la vive più solo. Il critico letterario Remo Ceserani scrisse che nel castello di Atlante «nessuno trova quello che cerca. Tutti trovano quello che non cercano». Viene da pensare ai grandi centri commerciali. I cavalieri persi nel castello non si riconoscono tra loro, perdono lucidità e coraggio, sono come affetti da quella speranza triste che li porta a posticipare la felicità, il momento del raggiungimento dell’oggetto.
C’è, dunque, un solo modo per uscire dal castello: un desiderio più forte perché concreto. Per uscire dal miraggio è necessario innamorarsi della realtà. Quando Angelica si mostra realmente, tutti la seguono. È questo che li salva e, forse, è questa, ancora oggi, anche per noi, l’unica salvezza possibile: quel briciolo di umana lucidità che resta inalterata e ci consente di distinguere l’illusione dalla realtà, la menzogna dalla verità.

(da: Orlando furioso. In poche parole, raccontato da Daniele Aristarco, Einaudi Ragazzi, pag. 55-57)

Una parola è come il sasso nello stagno

Il titolo dell’articolo ne contiene un secondo, che dà il nome ad un capitolo della famosa, e ormai classica, Grammatica della fantasia, di Gianni Rodari.
Nel capitolo, intitolato per l’appunto Il sasso nello stagno, il «favoloso Gianni» esamina la parola come possibile congegno per attivare l’immaginazione ed innescare uno dei tanti giochi, che servono ad inventare una storia.

Una parola, gettata nella mente a caso, funziona come un sasso gettato in uno stagno – scrive Gianni Rodari nella sua Grammatica –. Infatti, così come il sasso suscita onde concentriche che si allargano sulla superficie dello stagno, coinvolgendo nel loro moto, a distanze diverse, con diversi effetti, la ninfea e la canna, la barchetta di carta e il galleggiante del pescatore, allo stesso modo una parola produce una serie infinita di reazioni a catena.
Proprio così: una parola, gettata nella mente, coinvolge nella sua caduta suoni e immagini, analogie e ricordi, significati e sogni, in un movimento che interessa l’esperienza e la memoria, la fantasia e l’inconscio e che è complicato dal fatto che la stessa mente non assiste passiva alla rappresentazione, ma vi interviene continuamente, per accettare e respingere, collegare e censurare, costruire e distruggere.(pag. 15)

Qual è dunque, oggi, la parola da cui far nascere un percorso di lettura/scrittura? Dove l’ho “raccolta”? Quali associazioni può suggerire?
La parola è proprio sasso(da cui il richiamo alla Grammatica di Rodari) e compare in un brano del romanzo Respiro, di Antonio Ferrara, che ho citato nel precedente articolo.

Tornando a casa, Tullio decise che da quel momento sarebbe stato attento ad ascoltare la musica della poesia, quella musica che, come diceva Agata, voleva suonare a tutti i costi.
Camminando urtò un sasso col piede, e gli venne da pensare che era un sasso, non una pietra. Perché un «sasso» era tutto levigato già dal nome, e una «pietra» invece era tutta frastagliata, aguzza, e infatti il suo nome aveva la P, la T e la R. E poi pensò che «aguzza» era una parola con la punta, appuntita come un ago.
(Respiro, Antonio Ferrara, pag. 89)

In rete, i collegamenti letterari alla parola sasso sono numerosi. Per gli incontri con le classi di una scuola Primaria, io mi sono riferita a Irene Greco, ideatrice di Leggimiprima, in Anche le pietre hanno un’anima? La meravigliosa vita dei sassi negli albi illustrati. (https://www.youtube.com/watch?v=y9rf50WdUr0).
Nell’elenco proposto da Irene Greco, ognuno degli albi illustrati offre infatti coinvolgenti spunti di conversazione con i bambini, e pretesti interessanti per avviare esperienze di scrittura creativa.

Un’esperienza di scrittura creativa, ispirata però dalla Grammatica della fantasia, riguarda una classe4^. Dopo aver osservato che la parola «sasso» è formata da due sillabe e contiene un’unica consonante ripetuta tre volte, questi giovani esploratori di parole la hanno associata ad altri termini con le stesse caratteristiche.
Hanno così trovato un elenco di parole, di cui si sono serviti per scrivere, a gruppi di quattro, un breve testo narrativo: babbo, mamma, fuffa, cacca, cicci, ciocco, ciucco, cocco, cucco (col significato di cuculo), lilla, nanna, pappa, Peppa, Peppo, tatto, tetto, tutto.

Considerando che, oltre alla parola sasso, il testo doveva contenere almeno tre parole dell’elenco, seguono un paio di esempi, in prosa e in versi, che sarebbero piaciuti a Rodari.

Il testo in prosa: Sotto la pioggia…meglio di no!

Il vecchio cucco, del tutto ciucco dopo una scorpacciata di chicchi d’uva, svolazzava nell’aria, sbandando e sganciando cacca a non finire.
Nel prato sotto di lui, una famiglia di minuscoli fuffi dal pelo lilla babbo, mamma, e i figli Peppo e Peppa – raccoglievano erba cicci per la loro pappacena.
«Piove fango!» esclamò Peppo, al cader del primo gocciolone di cacca.
«Bleah! Non è fango, è pupù d’uccello ed è pure puzzolentissima!» gli fece eco la piccola Peppa, storcendo il nasino peloso
.
«Ma com’è possibile una cosa così disgustosa?» strillò mammafuffa. «Sono appena stata dal parrucchiere ad arricciarmi il pelo, io!»
«Non ci resta che rientrare in casa» disse babbofuffo, mentre una cacca del cucco lo centrava in pieno. «Presto, corriamo!».
Così, veloci come fulmini, i quattro fuffi – che, per chi non lo sapesse, sono esserini minuscoli dall’aspetto umano, completamente ricoperti da una pelliccetta lanosa e lilla – si rifugiarono nella loro casa, una piccola buca scavata sotto un sasso.

L’aspetto più interessante di questo testo scritto dai ragazzi è l’utilizzo creativo della parola fuffa, dopo che ne abbiamo ricercato insieme i diversi significati.
Accanto al significato più consueto di “merce che non vale nulla” o “discorso inconsistente”, i ragazzi hanno infatti scoperto che fuffa indica anche “la tipica lanetta anti-estetica che si forma nei tessuti” o “l’accumulo di peli e polvere nella pelliccia degli animali”.
Incuriositi da questo significato inusuale, se ne sono quindi serviti per inventare la loro simpatica famigliola di minuscola gente fuffa.

Il testo in versi: Svegliati, gnomo!

Un sasso liscio
al tatto
mi scalpitava in mano,
impaziente:
voleva lo lanciassi
contro il ciocco,
eletto a culla
dallo gnomo Peppe.
«Svegliati, gnomo!»
schioccò il sasso
sul ciocco.

«Come riesci a dormire,
dopo che mi hai strappato
dal mio tetto sicuro
e trasformato
così come sono
da ciuchino che ero?
Rendimi con la tua magia
tutto quel
che mi hai preso!»

Per il testo in versi, i ragazzi si sono ispirati alla fiaba Silvestro e il sassolino magico, di William Steig. In questa fiaba l’asinello Silvestro Somarelli, per sfuggire alle grinfie e alle fauci di un leone affamato, si trasforma in pietra, grazie ad uno straordinario sassolino rosso capace di esaudire i desideri.

Ciò che questo testo fantasioso ha ricordato a me è invece una poesia di Sabrina Giarratana, dove c’è un altro sasso (o, per meglio dire, una pietra) che aspetta di essere lanciato dalla mano di un bambino.

Una pietra aspetta sulla riva
forse oggi arriverà un bambino
e forse la terrà un poco in mano
e lei si sentirà di nuovo viva
sarà come avere ali e piume
e anche piedi per saltare più volte
quando lui la lancerà nel fiume
tra tante pietre un tempo raccolte
e lo sa che non deve avere fretta
intanto prende il sole mentre aspetta.

(S. Giarratana, da Poesie nell’erba)

Un libro che stimola il gioco di scrivere una storia contenente la parola sasso è anche Da lontano era un’isola, di Bruno Munari.
In questo caso, il criterio per associare a sasso una seconda (ed eventualmente una terza) parola e dar via libera alla propria invenzione fantastica è il personaggio che Munari ha disegnato sulla pietra stessa, seguendo le sue venature chiare.

La figura sottostante illustra un esempio tratto dal libro (a pag. 20). Il disegno, come spiega l’autore, è realizzato con inchiostro di china.

Una parola è come il sasso nello stagno